tradimenti
Cadorna, stazione di Cadorna (cap. 24)


30.05.2025 |
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"Come un automa, le tre tazzine su un vassoio, Silvia si avviò a passi lenti verso il salotto, il capo chino per la vergogna, la faccia rossa in un misto di..."
24.Non aprite quella porta.
Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla montagna. Lo conoscete il proverbio, vero? Perché per la nostra Silvia fu esattamente quello che accadde, per quelle strane alchimie della vita che chiamiamo coincidenze, tu pensi a una persona o a un possibile evento, e all’improvviso quella persona te la ritrovi davanti, o quella cosa fino a poco prima solo immaginata, succede. Così accadde che prima i figli (perennemente in ritardo), quindi Piero il mattino dopo salutarono frettolosamente Silvia – cioè, in realtà Piero, che sembrava averci preso gusto, si congedò con un altro bello schiaffone sul culo – chi per andare a scuola, chi per andare al lavoro, e così Silvia, che aveva il lusso di iniziare a un orario più elastico e ritardato, iniziò a prepararsi con calma per la sua giornata. Si era appena tolta la vestaglia che copriva una sottoveste che, invece, non era stata ideata per coprire troppo – e con i ragazzi a girovagare per casa al mattino non era il caso di farsi trovare così -, pronta per infilarsi sotto la doccia, quando Silvia sentì bussare con decisione e fretta alla porta.
“E questa volta cosa cavolo ti sarai dimenticato” borbottò tra sé Silvia, immaginando che ancora una volta Piero fosse tornato a recuperare qualcosa.
“Calma. Arri…” non aveva ancora finito di pronunciare la seconda parola, di fronte all’ennesima bussata, che nell’aprire la porta quel “vo” che mancava finì per essere ricacciato in gola. Perché davanti a sé, come se fossero usciti da chissà quale film – da incubo, però, non pensiate a chissà cosa di romantico –, Silvia si ritrovò tre divise. Quella imponente di Stefano e del suo collega (‘Come cavolo si chiama?’ si ritrovò paradossalmente a pensare per un attimo Silvia nel riconoscerli), accompagnati questa volta da una loro collega, una bionda i cui lineamenti del volto decisamente belli e dolci, cozzavano però con due occhi grigi da gatta, per uno sguardo che mischiava sapientemente ironia e glacialità.
“….” fu tutto quello che Silvia riuscì a dire in quei secondi successivi. Cioè, nulla.
“Buongiorno, signora V. Lo sa che lei è una donna piuttosto distratta?” ruppe il ghiaccio Stefano sfoggiando un sorriso ironico mentre nella mano destra sventolava lentamente la carta d’identità di Silvia.
Non fosse stata per la situazione grottesca, Silvia avrebbe riconosciuto quell’accenno preso in prestito a una delle canzoni che amava di più, invece, quasi avesse preso in pieno volto una secchiata di acqua gelida, rimase muta e ferma a guardare quei tre che le stavano di fronte, una mano ancora sulla maniglia, l’altra abbandonata sul fianco. Iniziò a riscuotersi solo quando vide lo sguardo dei tre indugiare sul suo corpo che – serve ricordarlo? – quella sottoveste nascondeva poco o nulla.
“Allora quello di presentarsi sempre mezza nuda è proprio un vizio” esclamò l’altro poliziotto, pure lui con un sorriso estremamente divertito. “Te l’avevo detto, Daniela, che ti avremmo presentato una persona molto interessante” continuò rivolto alla poliziotta, senza però smettere di guardare i seni di Silvia i cui capezzoli che, per una reazione chimica, in quei pochi secondi avevano iniziato a indurirsi, rivelandosi in maniera netta sotto il tessuto semi trasparente.
“Beh, noi le riportiamo indietro quello che lei aveva sbadatamente dimenticato e lei non ci invita nemmeno a bere un caffè come ringraziamento?” riprese Stefano e, di fronte a una Silvia sempre più ammutolita, allargando un po’ la porta si fece strada all’interno dell’appartamento.
“Del resto non vorrai che qualche vicino nel vederci si chieda cosa ci facciano tre poliziotti a casa tua a quest’ora del mattino, vero?”.
“Io… io devo andare a lavorare” le prime parole uscirono a fatica dalla bocca di Silvia, mentre come un automa richiudeva la porta.
“Toh, prendi” Stefano fece verso di dare la carta d’identità, ma nel momento in cui Silvia allungò la mano, lui ritrasse la sua, con Silvia che, tradita dal movimento, quasi crollò addosso al poliziotto.
“Ehi che foga, calmati. Ti sono così mancato?” la schernì Stefano, che approfittando del momento strinse a sé il corpo della donna. E quando Silvia, ormai sempre più stordita per gli eventi, alzò il volto verso di lui, prima ancora che potesse proferire parola il poliziotto le schioccò un veloce bacio sulle labbra. “Anche tu mi sei mancata. Sappilo. Anzi, ci sei mancata, vero Edo?” continuò, tenendola ancora un attimo abbracciata.
Poi, facendola girare e mollandole subito dopo un sonoro schiaffo sul culo, riprese. “E allora questo caffè ce lo offri? Che figure ci fai fare con Daniela, alla quale abbiamo parlato così tanto e così bene di te, da chiederci di venire a conoscerti?”.
“Sì… sì… subito. Scusatemi” si sorprese a chiedere scusa Silvia, quasi che quella situazione fosse davvero colpa sua. Ma mentre Daniela si accomodava su una poltrona ed Edo – adesso finalmente conosceva anche il suo nome – si sedeva su un’estremità del divano, Silvia iniziò a dirigersi verso la sua stanza.
“Dove vai?” la interruppe Stefano.
“A mettermi qualcosa addosso” rispose Silvia.
“Assolutamente no. Del resto, non c’è niente che io ed Edo non abbiamo già visto, vero Edo? E credo che neppure a Daniela dispiaccia”.
“Affatto. Anzi, forse sei anche troppo vestita, ma per il tempo che ci prepari questo famoso caffè posso anche accontentarmi” parlò per la prima volta la poliziotta, una voce calda e tagliente che si tradusse in un brivido che scese lungo la schiena di Silvia. La quale, a malincuore e con mille pensieri in testa su quello che sarebbe potuto accadere – anzi, sarebbe successo, perché i dubbi sull’immediato si stavano dissipando rapidamente – si diresse verso la cucina.
Avrebbe potuto ribellarsi, vero, gridare, magari anche scappare verso la porta e andare a chiedere aiuto. Verissimo. Il pensiero le era venuto immediatamente. ‘E allora perché non lo faccio?’ si chiese Silvia. ‘Non vorrai dirmi che questa situazione, comunque, ti eccita?’ continuò nel suo auto interrogatorio interiore.
La testa in piena fibrillazione, accese la macchina del caffè, prese la scatola che conteneva le cialde, ma nel momento in cui, dando le spalle al salone, aprì un’antina del mobile sopra la sua testa per prendere le tazzine, due mani leggere e morbide presero possesso dei seni, un petto a premerle contro la schiena, quel profumo che ormai sapeva a chi apparteneva.
“Ti serve aiuto?” le chiese con un sussurro Stefano che, con lei a piedi nudi, torreggiava ancor di più sulla sua figura. Nel frattempo, le mani continuavano ad accarezzare i seni, con medio e anulare a creare una V all’interno della quale catturare i capezzoli. Che, lo sentiva, eccome se lo sentiva, erano ormai duri in un modo quasi doloroso.
“No…no. Ti prego, devo andare a lavorare” provò a difendersi ancora una volta Silvia. Solo a parole, però, perché il suo corpo rimaneva immobile di fronte a questo assalto. Le piaceva? Lo voleva? Lo aspettava? Domande che si sarebbe posta qualche ora dopo, nel ripensare alla mattinata più pazza – ma sicuramente anche erotica – della sua vita.
“Prima facci gustare il caffè” continuò imperterrito il poliziotto. “Del resto, da quello che sento tra le mie dita, non mi pare che questa situazione ti dispiaccia”.
“Aaahhh” fu la sola risposta, non certo articolata, di Silvia, visto che in quello stesso momento quasi a validare la propria teoria, il poliziotto strinse violentemente i suoi capezzoli.
“La macchina è pronta” continuò come se nulla fosse Stefano, abbandonando i seni per scendere lentamente con le mani lungo la vita e poi fianchi di Silvia, accarezzandone il profilo con una leggerezza che stonava con la quasi brutalità con la quale pochi giorni prima l’aveva dominata carnalmente e mentalmente. Nel tirarla impercettibilmente verso di sé, Silvia avvertì la solida consistenza di quel cazzo che l’aveva già posseduta e mentre con una mano tremante afferrava una tazzina, sentì le dita arricciare la seta della vestaglia da notte, fino a scoprirle i fianchi. ‘Oddio’ pensò, non sapendo neppure lei se essere disperata o in attesa.
Un attimo dopo, mentre il respiro diventava sempre più affannoso, sentì le mani del poliziotto avanzare verso il centro del suo ventre mentre il suo bacino, in un movimento quasi automatico, arretrava ancora un po’ verso quello di Stefano, quasi a cercarne il cazzo, ma anche a lasciare via libera alle mani. Che, infatti, subito dopo iniziarono ad accarezzarle delicatamente il monte di Venere, prima che la mano destra scendesse tra le cosce verso la fica.
‘Cazzo, cosa sto facendo?’ si domandò ancora una volta Silvia.
“Cazzo, senti come sei già fradicia. Ti piace tutto questo, vero?” le sussurrò invece Stefano soffiandole nell’orecchio, per poi leccarlo lentamente. Vengono anche a voi i brividi, nell’immaginarlo mentre state leggendo queste parole?
Silvia non ebbe tempo di replicare, perché subito dopo il poliziotto nell’afferrare i lembi della vestaglia, iniziò a farla salire. Scoprendo il culo. Poi la vita. Quindi i seni. Per poi, infine, con le mani di Silvia che – quasi si fosse consegnata volontariamente all’ineluttabile – accompagnavano il movimento alzandosi in contemporanea, sfilarla definitivamente dalla testa.
“Sei una donna così bella che è un peccato che tu ti vesta” le sussurrò Stefano con una gentilezza che per un attimo la sorprese. Un attimo eh, perché subito dopo la fece girare e, questa volta ad alta voce, la mostrò ai due suoi colleghi in salotto. “Daniela, i caffè sono pronti, quindi da anima gentile, la nostra signora V. ha pensato di mantenere la promessa nei tuoi confronti”.
Una sberla sul culo, restituì Silvia alla realtà. “Su, porta il caffè ai tuoi ospiti, mostra loro come sai essere educata e servizievole”.
Come un automa, le tre tazzine su un vassoio, Silvia si avviò a passi lenti verso il salotto, il capo chino per la vergogna, la faccia rossa in un misto di pudore ed eccitazione, i capezzoli appuntiti e la fica bagnata. Un agnellino votato al sacrificio.
“Non ci fai compagnia?” le chiese il secondo poliziotto quando, dopo che Silvia aveva porto il caffè alla sua collega, fu il suo turno di ricevere la tazzina fumante.
“No, no, l’ho già preso” si limitò a rispondere Silvia. Sempre più incapace di dare un senso a tutto quello che stava accedendo.
“Ah beh, allora se non vuoi farci compagnia con il caffè, puoi renderti utile in un altro modo. Inginocchiati tra le mie gambe. E non serve che ti dica per fare cosa, giusto?”
“…”. Lo sguardo sconvolto, gli occhi sgranati, Silvia per qualche secondo se ne restò lì imbambolata.
Uno schiaffo, l’ennesimo, sul culo da parte di Stefano, che l’aveva seguita in salotto, la fece quasi saltare.
“Su, non hai sentito cosa ha detto Edo. Ubbidisci, forza” e giù un altro schiaffo.
E fu così che, incapace di opporre qualsiasi tipo di reazione, Silvia si ritrovò in ginocchio tra le gambe del poliziotto.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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